Autonomia tributaria ai sindaci, ma occhio alla perequazione

Fonte: Italia Oggi

Giunti a questa fase del cammino della riforma, sebbene il quadro manchi ancora di tasselli importanti, si può fare un primo bilancio. Dal lato della spesa, il decreto per la quantificazione del fabbisogno finanziario per le funzioni fondamentali di comuni e province, ha tracciato un metodo di lavoro condiviso dagli enti locali, con convergenze parlamentari fra maggioranza e opposizione. L’esito del lavoro in corso, sarà valutato dal parlamento, prima della decisione finale su una materia che ha un notevole contenuto politico, non riducibile al mero risultato di un qualche algoritmo. Dal lato delle entrate, il decreto approvato sul federalismo municipale e quello,in discussione, su regioni/province/comuni, definiscono in combinazione fra loro, la parte più significativa della riforma. I due decreti (al netto dei recenti pesanti tagli) fiscalizzano complessivamente un po’ meno di 13 miliardi di euro di trasferimenti da stato e regioni verso i comuni delle regioni a statuto ordinario. Una prima conclusione è che le entrate tributarie proprie comunali,nel totale, raddoppiano:questo è un dato molto rilevante sul piano quantitativo e qualitativo. Questo dato deve essere consolidato con il secondo decreto in discussione che contiene la fiscalizzazione dei trasferimenti correnti dalle regioni ai comuni, per assicurare con legge, che l’intero ammontare (2,5 miliardi di euro) sia fiscalizzato e non decurtato per traslazione sui comuni, di una quota dei tagli subiti dalle regioni. Nel triennio di transizione e a regime,la riforma è basata su numerose compartecipazioni alla fiscalità immobiliare, all’ Iva e a un tributo regionale. Il quadro dell’autonomia tributaria comunale é completato dall’addizionale irpef e dalle imposte i soggiorno e di scopo. Questa è la parte della riforma più aderente alla legge delega e ha peraltro, difficoltà applicative da risolvere,vedi la compartecipazione all’Iva. Più complessa la valutazione sull’i-mposta municipale propria (Imu).Non è ancora nata (è prevista dal 2014), ma già incontra forti e diffuse obiezioni anche da parte Anci. L’Imu, sostanzialmente una super Ici, sarà la principale imposta comunale. Il suo gettito (11,6 miliardi di euro), ad aliquota base, è inferiore di circa 1,7 miliardi a quello dell’Ici, ante cancellazione prima casa. Paradossalmente,dopo la riforma, i comuni hanno un tributo proprio di valore inferiore a quello di cui disponevano tre anni fa. L’Imu appesantisce il carico fiscale sulle imprese,contro il parere dei comuni. Non crea una buona corrispondenza fra chi paga e chi usufruisce dei servizi:a questo problema una soluzione era stata offerta dall’opposizione, con l’imposta comunale sui servizi. Anche il governo, riconoscendo il problema, su richiesta Anci, aveva introdotto nel decreto una norma, poi espunta, che a partire dalla riconsiderazione della tassa/tariffa sui rifiuti urbani, apriva la via a una parziale soluzione. Molto del confronto fra Anci e governo ha riguardato l’entità delle risorse. Il punto di partenza è la manovra finanziaria che sulle autonomie territoriali, scarica un taglio di otto miliardi di euro, interamente consolidato nei decreti. Nel confronto con il governo, i comuni hanno ottenuto la positiva modifica sul patto di stabilità, il parziale sblocco dell’addizionale irpef e l’imposta di soggiorno; la garanzia sul plafond minimo dell’entità delle risorse per il biennio 2011 e 2012; l’ assegnazione del maggiore gettito che può venire dalla lotta all’evasione e dal positivo andamento della fiscalità immobiliare e l’assegnazione dei risparmi eventualmente derivanti dalla quantificazione del fabbisogno standard. La distribuzione territoriale del gettito fiscale attribuito ai comuni è molto diversa da quella dei trasferimenti vigenti. Nasce da questo fatto, l’esigenza di un fondo consistente di riequilibrio, nella transizione, e di perequazione, a regime. Nel fondo di riequilibrio confluiscono oltre sette miliardi di euro da ripartire con criteri già definiti in legge, per il 46 per cento, e per il resto da stabilire con un’intesa in sede di Conferenza. C’è l’idea diffusa che ogni comune si terrà le risorse in relazione alle proprie basi imponibili: di qui il gioco fra chi guadagna e chi perde. In realtà, il criterio di ripartizione è, per legge, riferito alla perequazione delle risorse proprie per le funzioni fondamentali e della capacità fiscale per le altre. Molte incognite sono ancora presenti nella perequazione a regime: dovrebbe essere verticale e alimentata con la fiscalità generale. Allo stato, si prefigura un fondo analogo a quello per l’Iva compartecipata dalle regioni, con un travaso orizzontale di risorse da comune a comune: non è positivo per i potenziali conflitti insiti;serve una soluzione diversa. Nel dibattito sul federalismo, emerge la preoccupazione per l’aumento della pressione fiscale. In realtà la riforma deve comportare uno spostamento delle entrate a vantaggio delle autonomie, compensate dalla riduzione di quelle dello Stato. E’ compito del parlamento assicurare che la riforma consegua questo obiettivo.

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